La mia prima esperienza con la meditazione è stata all’incirca una decina di anni fa. Ero in vacanza nello Srilanka e l’albergo era a poca distanza da un monastero buddista. Visto da fuori dava proprio l’impressione di un posto molto tranquillo. Decisi di farmi coraggio e chiesi un appuntamento con un monaco perché mi insegnasse a meditare. Tornai nel pomeriggio ed il monaco si sedette di fronte a me e mi diede un foglietto. La mia reazione fu di sorpresa: Tutto qui sul foglietto… ma come è possibile!
Tornata in albergo iniziai a leggere: la prima indicazione era quella di augurare del bene a me stessa, la seconda a familiari o amici e la terza a qualcuno verso il quale provavo risentimento o ostilità. Era la prima volta che sentivo parlare in questo modo di gentilezza. Non nascondo la difficoltà che ho provato a mettere in pratica questi insegnamenti, ma è stato un inizio importante che mi ha portato poi ad avvicinarmi alla Mindfulness.
L’efficacia della gentilezza amorevole e della compassione, è stata provata negli ultimi anni dalle Neuroscienze, con il contributo importante di Kristin Neff, psicologa e ricercatrice. I suoi benefici si riflettono nelle situazioni della vita di tutti i giorni.
La gentilezza è una reazione a catena
Provare gentilezza e compassione per gli altri ci fa stare bene e in definitiva è la strategia migliore per essere trattati meglio anche dagli altri. Questo approccio è l’opposto di renderci uno zerbino e farci mettere i piedi in testa: ci pone invece in una posizione di vantaggio.
Il contrario è altresì valido: provare gentilezza per noi stessi porta ad essere gentili in modo autentico verso gli altri. Man mano che stiamo meglio con noi stessi, tendiamo ad essere più pazienti, incoraggianti, amorevoli e clementi. Per prenderci cura degli altri è necessario che ci prendiamo cura di noi stessi per primi. Se siamo più felici e in pace interiormente abbiamo molto di più da offrire.
L’ultimo aspetto, che è quello di mandare benevolenza anche alle persone difficili è quello in cui si manifestano le difficoltà maggiori. Tornando al mio inizio e ai consigli del monaco ricordo che tornata a casa avevo iniziato a creare una pratica del tutto personale. Ogni sera prima di andare a dormire mi immaginavo di essere in un posto sicuro e piacevole e in questo posto accogliente e protetto, invitavo ad entrare per prime le persone amiche e le facevo accomodare. Invitavo successivamente pian piano, anche le persone con le quali avevo avuto nel passato momenti di tensione. Ricordo che con questa pratica sono riuscita a lasciarmi alle spalle episodi molto dolorosi e ad abbandonare rancori e recriminazioni.
In conclusione possiamo davvero riconoscere che siamo tutti connessi: la gentilezza verso gli altri ci aiuta e aiutare noi stessi aiuta gli altri. Allo stesso modo far del male agli altri ci causa dolore e far male a noi stessi fa male anche agli altri. Nel bene e nel male quello che facciamo a noi stessi e agli altri provoca una reazione a catena.
Se iniziamo a praticare la gentilezza e la compassione, creamo un nuovo circolo virtuoso e possiamo cambiare in meglio le nostre vite e quelle degli altri.