Esercitare la forza attiva della compassione nei momenti di conflitto è una capacità di cui abbiamo sempre più bisogno per sperimentare la pace sia a livello personale che globale. Quando guardiamo al conflitto che sta infiammando il Medio Oriente, le nostre reazioni ai fatti che succedono sono giustamente di orrore per l’abiezione a cui possono arrivare degli esseri umani, ma è la nostra reazione che può e deve essere diversa per non rischiare di perpetuare ancora più divisione ed ancora più odio tra le persone. Ho letto questa frase in un‘intervista fatta ad un israeliano attivista per la pace a proposito di compassione in questi momenti difficili: “Sono un piccolo pesce a confronto di tutte le ingiustizie del mondo e a cospetto di persone il cui esempio ha toccato le vite e i cuori di molte persone, ma è meglio essere un pesce piccolo che nuota nel fiume della compassione che essere un pesce piccolo che frigge nella padella della rabbia”
Spesso quando guardiamo a situazioni di conflitto come quella tra Israele e Palestina, siamo portati a pensare che quello che sta accadendo in Terrasanta sia solo il conflitto tra due popolazioni e così prendiamo le parti di una o dell’altra fazione. In realtà è importante guardare le cose da un’angolazione diversa.
I conflitti in una forma o in un’altra, sono sempre presenti in ogni settore della società, dalla scuola alla politica, in famiglia o tra gli eserciti. Ci sono atti di violenza perpetrati nei confronti di donne e bambini, abusi nel posto di lavoro e non ultima la distruzione dell’ambiente.
Tutte queste forme di violenza sono il risultato della reazione di noi esseri umani alla paura, all’ansia, alla confusione. Siamo portati invece ad interpretare questa sofferenza come risultato del confitto tra due antagonisti, in questo modo ignoriamo le vere cause della sofferenza e continuiamo così a perpetuarla.
Cosa succederebbe se usassimo una lente diversa, più in sintonia con la psicologia buddista?
Secondo il Dharma tutte le cose sono interconnesse e da questo punto di vista, ogni separazione percepita è un’illusione ed esiste solo nella mente di colui che percepisce. La psicologia buddhista ci suggerisce che tutti noi siamo già completamente liberi e saggi, semplicemente non ne siamo ancora a conoscenza
In quest’ottica, possiamo vedere che sia gli israeliani che i palestinesi, come chi difende una o l’altra parte, non sono uguali ma neppure troppo diversi. Sono uniti nella paura, incatenati dalla rabbia e uguali nel credere nell’errata idea che la sofferenza sia dovuta solo al conflitto tra le nazioni.
Con questo non voglio dire che non ci siano reali violenze o attacchi alla sicurezza personale ma se guardiamo in profondità possiamo vedere che la guerra è un riflesso di quella che abbiamo a volte dentro di noi, che proiettiamo sul nemico esterno nel tentativo di controllare la nostra sofferenza.
In questo modo neghiamo la realtà profonda della nostra sofferenza, la proiettiamo all’esterno e rendiamo impossibile qualsiasi trasformazione.
Ma quali sono i passi che possiamo effettivamente fare?
Il primo passo è quello di proteggerci e di coltivare la compassione. Quando vediamo gli effetti devastanti del conflitto e rispondiamo a queste immagini con sentimenti di giudizio o di avversione verso una delle due parti non facciamo altro che rimanere prigionieri dello schema delle due parti separate e distinte. Una è la vittima e l’altra è l’aggressore, ma in questo modo coltiviamo i semi del giudizio e della separazione in noi stessi. Se coltiviamo i semi del giudizio, della rabbia e dell’odio i loro frutti si diffonderanno in tutti gli aspetti della nostra vita e potranno rovinare anche le nostre relazioni.
Se riusciamo a vedere invece il quadro più completo, possiamo arrivare a comprendere che una persona che uccide o fa del male ad un’altra può facilmente essere una vittima delle diverse circostanze e delle condizioni che l’hanno portata ad agire in questo modo. A questo livello possiamo tutti essere sia carnefici che vittime. La verità è che, se fossimo capaci di vedere in profondità, agiremmo tutti in modo diverso.
Se rimuoviamo l’ostacolo della visione dualistica, possiamo davvero aprirci a nuove opportunità. Come ad esempio esercitare compassione verso coloro che non hanno ancora imparato a coltivarla e possiamo imparare ad affrontare chi non la pensa come noi con un’ottica diversa: quella di ascolto delle realtà e condizioni di vita dell’altro. Possiamo altresì essere di esempio per i nostri figli o le persone intorno a noi, un esempio di tolleranza per tutte le forme di diversità con le quali veniamo a contatto tutti i giorni. .
Un atteggiamento nuovo sempre più necessario anche per la sopravvivenza dell’essere umano. È fondamentale praticare la capacità di ascoltare senza giudizio, affinché i semi dell’amore, anche se piccoli, possano venire innaffiati tutti i giorni.
Questo atteggiamento può contribuire ad alleviare la sofferenza. Senza questa pratica, qualsiasi sforzo purtroppo non farà altro che contribuire ad ulteriore sofferenza. Oltretutto La compassione, l’ascolto profondo e la parola amorevole possono essere praticati a qualsiasi livello della società e in qualsiasi lingua.
Per iniziare a coltivare un atteggiamento di pace