Accettazione: trasforma l’autogiudizio in crescita

Andare dalla parrucchiera è sempre stato per me il momento della verità: sarà perché entro con i capelli in disordine, saranno le luci, sarà anche perché sono costretta a guardarmi allo specchio; ma questo momento mi ha sempre messa molto in contatto con la mia parte giudicante.

Mi sono sempre guardata allo specchio, anche un po’ in imbarazzo, notando tutte le cose negative: la nuova ruga, magari gli occhi un po’ gonfi, la ricrescita dei capelli bianchi.

Da qualche tempo però, ho iniziato a guardarmi con maggiore benevolenza; non nego affatto i segni dell’invecchiamento, ma mi concentro maggiormente sullo sguardo, sull’atteggiamento e trasformo questo momento di quasi disagio in un momento in cui posso praticare l’accettazione.

In genere inizio dal corpo, percepisco se ci sono tensioni nelle spalle, nelle braccia o nei muscoli del viso e noto se ci sono cambiamenti nell’espressione del viso quando lascio andare il giudizio sull’aspetto fisico.

Praticare l’autocompassione e l’accettazione sono tutti e due modi diversi di relazionarci con noi stessi, soprattutto nei momenti di difficoltà o fallimento.

L’autogiudizio è la tendenza a criticarsi duramente. La spinta al miglioramento attraverso la critica è frutto spesso di condizionamenti culturali, educativi o familiari

Frasi tipiche che sottintendono l’autogiudizio sono ad esempio:
“Sono un fallimento”, “Non sono abbastanza bravo”, “È tutta colpa mia”.

Questo atteggiamento nasce spesso da standard irrealistici, dal confronto con gli altri o da esperienze passate e può portare a bassa autostima, ansia, depressione e senso di vergogna.

L’autocompassione invece è l’atteggiamento di gentilezza verso se stessi nei momenti di sofferenza. Non significa giustificarsi o evitare responsabilità, ma riconoscere il dolore senza amplificarlo con la colpa.

L’autocompassione secondo Kristin Neff  si compone di tre elementi

  1. Mindfulness (consapevolezza): essere presenti a ciò che si prova senza esagerarlo o reprimerlo
  2. Umanità condivisa: ricordarsi che tutti sbagliamo, sbagliare è parte dell’essere umani.
  3. Gentilezza verso se stessi: parlarsi con rispetto e cura.

Un esempio pratico di Autogiudizio è: “Ho sbagliato la presentazione, sono un incapace.”. In questo caso la visione di sé è quella di essere sbagliati.

Uno di Autocompassione è: “Ho fatto un errore, ma non definisce chi sono. Posso imparare da questo e migliorare.”

L’autostima quando si è troppo autogiudicanti è instabile e condizionata dai risultati e c’è minor resilienza, ci si scoraggia più facilmente.

Anche le relazioni con gli altri sono compromesse, si è più permalosi e in genere poi chi si giudica troppo tende a giudicare anche gli altri. Nella persona troppo autogiudicante aumenta l’atteggiamento reattivo e lo stare sulle difensive.

Inoltre l’apprendimento e la crescita ne risentono per la paura della critica e del giudizio

L’autocompassione al contrario favorisce maggiore empatia, tolleranza e capacità di ascolto; favorendo maggiore apertura e capacità di mediazione

In conclusione: l’autogiudizio può sembrare utile perché “ci sprona a fare meglio”, ma alla lunga mina la fiducia in sé stessi. L’autocompassione non è “mollare la presa”, bensì allenare una forza più sana, basata sulla comprensione, sull’accettazione e sul desiderio di crescere.

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